Il benessere a tavola: la storia aziendale di Modus Nostrum
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«Il benessere comincia dalla tavola». Suona come uno spot, ma quella di Marco Capalbo ha tutte le specificità di una scelta. Di una presa di coscienza imposta non solo dalla nascenti richieste del mercato, ma dalla necessità di fare bene il proprio lavoro, la necessità «di portare nelle – come aggiunge di seguito – il meglio di ciò che siamo in grado di offrire, un prodotto che abbia alle spalle una propria storia e un proprio universo valoriale».
Siamo a San Giorgio Lucano, poco più di mille abitanti su un colle a 416 m s.l.m.; sotto, la valle del Sarmento. La natura libera dal giogo del paesaggio urbano, nell’estrema parte sud occidentale della provincia di Matera. Il cuore della Lucania che ha un nome e un volto, quello del Parco Nazionale del Pollino.
«L’azienda nasce circa tre anni fa – spiega Capalbo – ma l’avvio della produzione è relativamente recente, anche se i progetti in cantiere sono già tanti». Modus Nostrum è il nome e una promessa. L’impegno di fare tutto al meglio delle proprie forze e capacità. Un impegno che parte dal reperimento delle materie prime e confluisce verso la sostenibilità ambientale. Il modo in cui esso si esplica e si fa prodotto è il laboratorio.
«Grazie ad una consolidata serie di rapporti e una fitta rete di conoscenze, riusciamo a reperire prodotti di qualità. In altri termini, non acquistiamo la materia prima da fornitori sulla base del loro minor costo, ma solo da chi ci offre la garanzia, da noi appurata e conosciuta, di qualità e sostenibilità ambientale». Come si concretizza questo nella realtà? «L’esempio immediato che mi viene da portarle – aggiunge Capalbo – è quello di una marmellata di albicocche prodotta acquistando la frutta da un’azienda del territorio a dieci volte il prezzo a cui acquista la grande distribuzione. La qualità ha un valore che va riconosciuto a chi si impegna a garantirla, è scandaloso quando succede il contrario».
La conseguenza diretta è un prodotto finale dal costo, certo, più elevato, ma giustificato dalla qualità dello stesso e del riconoscimento, lungo tutta la filiera, del giusto valore. «Quando parliamo di sostenibilità, parliamo anche di questo, di un prodotto non solo buono, ma socialmente giusto. Anche il cibo può e deve essere etico. Il cibo etico è quello che non uccide, non spoglia, che non imprigiona nella povertà e che costruisce la pace ed il benessere della collettività. I consumatori a cui ci rivolgiamo sono coloro che condividono i nostri stessi valori, e dunque si trovano disposti a riconoscerli anche attraverso la giusta attribuzione del prezzo».
Tra la materia prima e lo scaffale c’è il laboratorio. «Riuscire a coniugare bontà e salubrità è la nostra missione. Il luogo in cui essa prende forma è proprio il laboratorio. Il vero cuore pulsante del nostro lavoro». Cotture lunghe e a bassa temperatura. Totale assenza di conservanti, additivi, addensanti e coloranti. Il risultato sono una vasta gamma di sughi: dal ragù con salsiccia nostrana a quello alla bolognese con podolica lucana. A questi si aggiungono sottoli, sottaceti e paté; marmellate e confetture.
«Conoscenza, cultura e investimenti. I tre fattori indispensabili per una buon riuscita – aggiunge Capalbo – nei progetti futuri abbiamo intenzione di cucinare i nostri prodotti utilizzando solamente pentole della salute atossiche agli ioni d’argento, affiancando l’installazione a tutto il laboratorio di una canna fumaria ai carboni attivi, una tecnologia moderna ed ecologicamente idonea per lo smaltimento dei fumi. L’obiettivo è quello di un impatto pari allo zero».
Ridurre la propria impronta ecologica. Una scelta ricercata e studiata che si esprime anche nel packaging dei prodotti, conservati in boccaccini in vetro, o in quello per le spedizioni, completamente in cartone, senza ricorso alcuno alla plastica.
Il futuro? «Non è sempre roseo – commenta Capalbo – ma al mio fianco ci sono i miei familiari. L’idea dell’e-commerce, avviato sul finire dello scorso anno, fino all’apertura di un laboratorio più piccolo e contenuto a Firenze è un qualcosa che stiamo valutando». Alle spalle vi è la consapevolezza delle numerose difficoltà che in Basilicata si incontrano per fare impresa. «Abbiamo le spalle larghe – conclude fiducioso – ma soprattutto, abbiamo un progetto in cui crediamo profondamente, e non è poco».