Azienda agricola Fusaro, dal pomodoro da industria all’olio
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Tra Pisticci e Montalbano, nel paesaggio dei Calanchi
È un amore sensoriale quello di cui parla Serafina Fusaro. L’amore per una terra argillosa, a tratti arida, come la definiscono i poveri di spirito e di fiducia. L’amore per i profumi e i colori della macchia. E per il vento che spira più in basso, dal mare. Siamo tra Pisticci e Montalbano. Intorno, il paesaggio lunare dei calanchi. Una poesia che sa di fantascienza e di vita lontana.
L’azienda rilevata nel 2019, cento ettari contigui di quella che prima era un’antica riserva borbonica. La successiva bonifica dei terreni e la frammentazione cromatica. Da un lato il giallo oro del frumento, dall’altro il rosso sanguigno del pomodoro. Più in là, l’argento delle foglie d’ulivo che fanno da specchio all’argilla delle zolle.
«Il legame profondo con la terra. L’unico presupposto in mancanza del quale sarebbe difficile, se non impossibile, svolgere questo lavoro» spiega Serafina Fusaro. Una scelta che l’ha portata dalla sua Calabria fino alle valli del Cavone, per proseguire il lavoro che fu di suo padre e, prima ancora, di suo nonno.
La coltivazione del pomodoro da industria
«L’attività principale è la coltivazione del pomodoro d’industria – spiega Fusaro – che in una filiera corta, senza alcuna intermediazione commerciale, conferiamo a un’azienda di trasformazione campana, La Fiammante». Un lavoro in simbiosi che, aggiunge Fusaro, parte dalla scelta congiunta della varietà di pomodoro da impiantare fino all’utilizzo delle buone partiche di coltivazione agroalimentare per un prodotto finito dagli alti standard organolettici.
A ciò si aggiunge l’impegno di puntare al minor impatto possibile sul territorio. Un impegno che si riscontra, ad esempio, nell’impiego dei teli per la pacciamatura biodegradabili che, giunti a fine vita, concimano il terreno. «Mi piace pensare ad un rifiuto che porti con sé valore aggiunto» afferma Fusaro. «Stesso motivo che ci ha portato a collaborare con varie aziende per lo smaltimento dei materiali impiegati, dalle bottiglie dei fitofarmaci sino alle ali gocciolanti, affinché nulla vada disperso nel terreno e si proceda a una raccolta differenziata oculata e specifica».
L’uliveto e le bomboniere gastronomiche
L’altra metà del sogno di Serafina sono due ettari di uliveti. Un ciclo tutto interno all’azienda. Dalla raccolta alla molitura nel frantoio di proprietà a Monopoli, dove le olive vengono trasportate e spremute nel giro di 24 ore. «Il risultato è un olio che racconta i profumi e i colori della nostra azienda e che, per questo stesso motivo, ogni anno, mi emoziona».
Un prodotto, per il quale, Serafina ha immaginato e realizzato, servendosi delle mani di sapienti artigiani pugliesi, una “casa” tutta diversa. «Si tratta di orci in ceramica realizzati uno ad uno, e che raccontano con la propria unicità artistica, le peculiarità del nostro olio». Da qui una linea eventi con la promozione di quelle che possono definirsi a tutti gli effetti, bomboniere gastronomiche.
«Con questa idea ho voluto evidenziare, un’altra volta, la pratica del riciclo. Ogni orcio, infatti, è munito di bastoncini in bambù, in modo da trasformarsi, una volta terminato l’olio all’interno, in un profumatore d’ambiente». Un packaging accattivante che funziona, non solo, per la ricercatezza del prodotto, ma anche e soprattutto per la cura di quella terra che quel prodotto lo partorisce.
«Nel futuro? All’orizzonte credo ci sia l’impianto di altri uliveti. La coltivazione e il lavoro della terra è ciò che da sempre mi appassiona. Continuare ad alimentare questo legame è ciò che intendo fare».