Brigante lucano: sulle pendici del Cenapora
Brigante Lucano
Tempo di lettura: 2 minuti asta Alica
Tradizione, territorio e resistenza. Era questo l’incipit del primo articolo in cui vi presentavamo Brigante Lucano, una giovane realtà di Vaglio di Basilicata, conosciuta in occasione del Salone del Gusto di Torino.
Dall’altro capo del telefono e del mondo, con sette ore di differenza sull’orologio, Giuseppe Avigliano torna a parlarmi di questo. Il cuore, la testa e i progetti sono sempre stati a Vaglio, nonostante la lontananza da casa.
«Per molto tempo ho vissuto in Australia per lavoro – racconta – poi nel 2019, con l’avvio dell’azienda, la mia permanenza qui si è fatta sempre più saltuaria, attualmente sono solo di passaggio; troppi i progetti che mi aspettano a casa».
Alle spalle, la voglia di riscatto e di una progettualità vera e definita, programmatica. Oggi, il recupero e la valorizzazione dell’antica razza di suino nero lucano, domani, uno sguardo più ampio e, se possibile, ancora più ambizioso. Uno sguardo che abbraccia il vasto paesaggio del monte Cenapora per poi spostarsi su una piccola vigna, a 800 m s.l.m.
«Il prossimo sogno comincia da lì – mi spiega Giuseppe – una vigna classe 1986 lasciataci da nostro nonno». Dare valore ai vitigni autoctoni. Primo passo obbligatorio, lo studio e la ricerca. «La Basilicata non è soltanto Aglianico del Vulture – aggiunge – e dopo aver effettuato attenti studi ci attivammo per capire quali fossero all’interno della nostra area territoriale le varietà che, nel corso dei secoli, erano state custodite dai contadini. Da qui la curiosità e l’entusiasmo di scoprire quale segreto custodisse l’antico vigneto del nonno».
Quell’antico segreto oggi ha un nome, Colatammurro. «Si tratta di un’uva a bacca rossa un tempo molto diffusa tra Vaglio, Cancellara, Acerenza e Pietragalla, famosa, tra l’altro, per l’elevata resistenza alle malattie fungine. Oltre a questa siamo riusciti a rintracciare il Muscatidd’, uva a bacca bianca di origine francese, la base del pregiato champagne».
Dare valore ai vitigni autoctoni attraverso la diversificazione delle produzioni presenti sul mercato. Proporre, dunque, un prodotto del territorio, che possa fare da eco alla storia dello stesso. «L’idea è quella di produrre due “bollicine ancestrali” e un rosso, vinaggio tra Aglianico al 50% e Sangiovese, Malvasia nera di Basilicata e Colatammurro; poi, l’affinamento in bottiglia di un anno – spiega con la testa già al domani Giuseppe Avigliano – poco intervento sia in vigna sia in cantina».
Un lavoro di sottrazione, con l’obiettivo di condurre il vigneto a regime biodinamico, un’idea che ricondivide l’esperienza valoriale già portata avanti con l’allevamento di suino nero. Allargarsi, estendere la propria offerta con la rinnovata promessa di onestà intellettuale e imprenditoriale.
La cantina è il prossimo step. Il nastro rosso d’arrivo è fissato per la prima vendemmia 2024/2025. Massimo obiettivo di produzione diecimila bottiglie. Da lì in poi un altro percorso tutto in salita. «Ci scontriamo tutti i giorni con numerose difficoltà, legate senz’altro a una realtà in cui manca il pieno supporto della comunità e della politica locale, ma abbiamo le idee chiare. Sono i nostri prodotti, alla fine, a parlare di e per noi, e vogliamo che questi raccontino che lavorare all’insegna della sostenibilità e della trasparenza non solo è possibile, ma necessario e doveroso, solo in questo modo potremo salvaguardare al meglio la biodiversità del territorio».