È Jamu: tornare a camminare
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È Jamu nel dialetto calabrese è un’esortazione al movimento, all’uscita dalla staticità; l’invito di una lingua cantata ad abbandonare la fissità per tornare a camminare. Per Caterina Bianchini è la storia di tutta una vita, «un inno alla ripartenza e al coraggio». Una ripartenza che ha come protagonisti i suoi due giovanissimi figli, Maria Domenica e Rocco, rispettivamente ventiquattro e ventidue anni, costretti ad abbandonare la terra natale e oggi impegnati, nel cuore della Toscana, a coltivare vitigni ed uliveti e a produrre con passione, e non senza sacrifici, il proprio futuro. Il coraggio è quello di un’intera famiglia che ha fatto dell’agricoltura uno strumento di legalità, almeno fino a quando ciò è stato possibile.
Un salto indietro di vent’anni: siamo nel 2002 e Domenico Luppino diventa sindaco di Sinopoli, milleottocento abitanti ai piedi dell’Aspromonte. Una terra tanto bella quanto difficile, che punisce, con estrema durezza, chi contro ogni ragionevole dubbio cerca di risollevarla dal torpore di anni. Le sanguinose faide degli anni ’40, l’assalto armato al municipio e alla caserma dei carabinieri nel ’44, lo scioglimento del Consiglio Comunale per infiltrazione mafiosa nel ’97, la cosca degli Alvaro oggi.
«Si pensa che chi fa il sindaco qui abbia sempre un conto da saldare – dichiarò Luppino in un intervista qualche anno dopo – ma io non l’ho mai saldato, così il meccanismo s’è inceppato». Il meccanismo inceppato varrà al sindaco numerosi attentati e svariate minacce di morte, dalla macchina incendiata all’uccisione dei cani, fino al vile gesto della profanazione della tomba del padre con una bomba. Segue l’assegnazione della scorta permanente, la vita stravolta, ma le denunce di Luppino non si fermano. Dall’altra parte, la reazione politica si traduce nelle dimissioni di sette consiglieri comunali; dopo tre anni e mezzo di mandato il primo cittadino viene rispedito a casa, ma gli episodi intimidatori non si fermano. Nel mirino è la cooperativa Giovani in vita, un ambizioso progetto che vuole costruire, sui terreni confiscati alle cosche, nuove possibilità lavorative per i giovani del posto: «incendiarono piante di ulivo, rubarono i macchinari, fino alle minacce ai ragazzi che partecipavano all’iniziativa – spiega oggi Caterina Bianchini, ricordando quegli anni difficili – continuare diventò davvero impossibile».
Domenico Luppino fu tra i primissimi testimoni di giustizia nella provincia del reggino, negli anni in cui in Calabria di testimoni di giustizia non se n’era ancora sentito parlare. Con il suo coraggio e la sua abnegazione contribuì ad inchiodare la potente ‘ndrina degli Alvaro. A sottrarlo all’amore della sua famiglia, un anno fa, un brutto male. «I ragazzi si sono rimboccati le maniche – aggiunge Caterina Bianchina – portando avanti con attenzione e passione l’azienda creata con il padre».
«Attraverso È Jamu stiamo scrivendo un nuovo capitolo di una storia che viene da lontano, una storia fatta di tradizione, coraggio e sudore, sogni e legami inscindibili». Una storia che oggi affonda le radici nel territorio del Valdarno superiore.
Quattordici ettari di vigneto per due vini biologici certificati: Zimbatò, rosso Chianti DOCG, un grande classico ottenuto dalla vinificazione di uve 95% Sangiovese e 5% Colorino, vendemmiate rigorosamente a mano e selezionate in modo scrupoloso per ottenere un numero relativamente basso di bottiglie ma di elevata qualità; e Paressia IGT bianco: «il vitigno è l’Incrocio Manzoni, incontro di succeso tra il Riesling renano e il Pinot bianco. In Toscana è arrivato solo nel 1990 – spiega Bianchini – a Pienza per la precisione, e da lì si è diffuso in pochissimi territori della regione, motivo per cui il nostro vigneto è una vera e propria rarità per questa zona, un piccolo gioiello che cerchiamo di valorizzare al massimo, lasciando che la vigna faccia il suo corso, senza troppi interventi in cantina che ne vadano a snaturare le caratteristiche».
Quattordici ettari di uliveto per la produzione di Loro, olio extravergine di oliva biologico IGP toscano estratto a freddo, ottenuto da tipiche varietà regionali, quali il Leccino, Frantoio e Moraiola. A ciò si aggiunge l’orto: «un pezzo di terra di 3.000 mq, da anni incolto, adesso ha ripreso vita con tanta passione e un bel po’ di sudore – racconta Caterina Bianchini – abbiamo selezionato una serie di varietà autoctone, coltivate secondo i principi dell’agricoltura biologica e facendo la massima attenzione a inserire l’orto nel proprio contesto, ovvero rispettando al massimo l’ambiente, utilizzando tecniche di coltivazione e di cura delle piante tipiche della tradizione contadina toscana».
Tra i progetti in cantiere la ristrutturazione del piccolo casale interno alla proprietà, per aprirsi all’attività ricettiva e al turismo esperienziale. «Per il futuro più prossimo ci immaginiamo un’azienda aperta, aperta al territorio e alle sue genti, capace di generare progetti e non solo prodotti. Progetti di respiro sociale che coinvolgano le persone e le facciano interagire, sfruttando il meglio che la natura offre al fine di farne un elemento di facilitazione delle relazioni e di dinamiche di socialità attuali».