Il Pecorino di Filiano: storia d’identità

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In cosa risiede e per cosa passa la tipicità di un prodotto? Cos’è a renderlo, nello specifico, “tipico” di un determinato territorio? Se dovessimo rispondere a tali domande consultando, semplicemente, la definizione enciclopedica del predetto termine, ci troveremmo a dire che un prodotto può considerarsi tale quando presenta «caratteristiche costanti e distintive». Peculiarità, in definitiva, che lo fanno rientrare di diritto all’interno di questa categorizzazione. Ma la concreta realtà è che la tipicità trapassa, per il suo stesso essere, le categorizzazioni e si iscrive, invece, in diversi ambiti, abbracciandoli all’unisono per riconsegnarci, subitaneamente, l’immagine, l’odore e il sapore del prodotto stesso e della sua terra.

La tipicità, dunque, in estrema sintesi, è un doppio legame tra il prodotto e il territorio. Il primo risulta essere, infatti, espressione del secondo, perché al di fuori di quest’ultimo (contesto economico, sociale e ambientale del territorio stesso), gli attributi di qualità di quel dato prodotto risulterebbero irriproducibili. È proprio questa mancata riproducibilità, lontano da un dato spazio territoriale e culturale, a rendere quel prodotto, tipico e quindi unico. Unicità che, a sua volta si sublima i quegli specifici connotati che, insieme, disegnano e definiscono il profilo, sia storico che fisico, del territorio.

Come tutto ciò si possa tradurre in materia reale ve lo spieghiamo ripercorrendo la storia del Pecorino di Filiano, uno dei formaggi caratteristici della Basilicata. È nella sua pasta dura, risultato della lavorazione eseguita a 24 ore dalla prima mungitura di pecore allevate allo stato brado, che si condensano i profumi e le tradizioni di tutta una terra.

Una storia antica, quella del pecorino DOP, che ci proietta lungo la dorsale montuosa dell’Appennino nord-occidentale lucano, tra i comuni di Rionero e Potenza. Qui, ad oltre 1200 m s.l.m. sorge Filiano, toponimo questo che iscrive sin da subito il piccolo centro dell’alto bacino dell’Ofanto, in una millenaria tradizione di pastori e allevatori di ovini. Secondo ipotesi accreditate, infatti, il nome del borgo deriverebbe dalla fiorente attività di “filatura della lana”.

La stessa produzione di formaggio ha origini antichissime, testimoniate da tracce di popolazioni indigene dedite all’allevamento ovino sin dal Mesolitico. E ancora, la presenza di vaste masserie agricole risalenti al  IV secolo a.C., come attestano i numerosi tratturi utilizzati per la transumanza. Durante le età Sveva e Angioina poi, XII- XV secolo, la zona assume un importante ruolo nella produzione di beni caseari. Ma è con i feudatari Doria, a partire dal XVI secolo, che i territori circostanti il Monte Vulture si riempiono di masserie specializzate nell’allevamento delle pecore e di strutture produttive per la trasformazione del latte; tanto che il patrimonio ovino dell’epoca, secondo i registri dell’azienda di famiglia, contava, nella sola Filiano, di oltre 10 mila capi.

Nonostante ciò, il Pecorino di Filiano è stato, per molto tempo, un formaggio destinato all’autoconsumo o alle sole tavole dei signori. Solo dal 1997 in poi prenderà avvio un processo di valorizzazione con la costituzione del consorzio per la tutela del Pecorino di Filiano DOP.

Una continuità storica, quella che caratterizza la produzione di tale formaggio, resa possibile dalle caratteristiche territoriali. Se è vero, infatti, che è il marchio impresso sulla crosta a renderlo riconoscibile sul mercato e a tutelarlo in ambito europeo, ciò che intimamente caratterizza il Pecorino di Filiano sono senz’altro gli odori della terra in cui esso nasce, una vasta area, compresa tra il massiccio del Monte Vulture e la Montagna Grande di Muro Lucano, che ha per centro la caratteristica valle di Vitalba nel territorio del comune di Filiano. I terreni vulcanici e le acque ricche di sali minerali che sgrogano vivaci dalle falde del Vulture, fanno di esso un prodotto unico. L’odore penetrante dell’origano e del timo profumano il latte, e con il trifoglio, la malva, le festuche, l’avena e il finocchietto selvatico costituiscono l’alimentazione degli animali. A completare il tutto, la stagionatura in grotte naturali.

Caratteristiche di grande pregio che assieme alle valenze gastronomiche rendono questo prodotto unico ed inimitabile: la crosta rigata dai segni della fuscella e un colore che vira dal giallo dorato al bruno scuro nelle forme più stagionate. La pasta dura ed omogenea, di un bianco candido nei formaggi più giovani fino al paglierino, con rare occhiature. Servito principalmente da solo, come formaggio da tavola, questo prodotto ha accompagnato la storia del suo territorio.

La storia di un mutuo arricchimento, un nesso indissolubile che lega in modo biunivoco il prodotto tipo alla terra di origine e viceversa, nel segno dell’identità culturale e territoriale. Un’alchimia di mestieri e persone, espressione di una diversità fonte di sapere e crescita, non esportabile altrove. Non riproducile con altri modi, con altri tempi. Fedele a sé stessa, insomma, alla propria identità, al riconoscimento del proprio passato e della promessa futura.

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