Il cotto di fichi del materano
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L’ALBERO DEL FICO: STORIA E SIMBOLOGIA
Calanchi, terra che sembra luna, filari di viti si rincorrono nei campi appena arati, e le ombre degli ulivi secolari si stagliano al tramonto tra le terre brulle di Lucania. Paesaggi che a ben vedere non possono mai dirsi del tutto oggettivi, ma che raccontano l’identità culturale, la storia e l’appartenenza di un popolo a quella che è la propria casa; paesaggi a cui ognuno di noi lega un pezzo della propria infanzia, la costruzione di ricordi lontani e che tornano a prendere vita nella voce rauca di un vecchio non ancora stanco di raccontarli.
Tra i muri scrostati, lungo i marciapiedi, in prossimità di colture selezionate, varietà ricercate e curate, un piccolo albero dal fusto corto e ramoso cresce tenace, anche non essendo volutamente piantato, nutrendosi con la sola acqua che la stagione autunnale offre, anch’esso con una storia millenaria da tramandare, anch’esso parte di quella rappresentazione soggettiva dell’antico paesaggio rurale che è sempre più faticoso ritrovare oltre gli immobili e stereotipati aneddoti che sembrano non saper più rispondere alle esigenze di un’agricoltura in continuo cambiamento.
Una storia che ha le proprie radici nel Neolitico, alcuni ritrovamenti archeologici ne fanno risalire le origini nella vicina Asia Minore; e ancora le fonti scritte, Seneca, Plinio il Vecchio ed altri antichi autori, ne esaltano nelle loro opere, le proprietà nutrizionali, mentre oltre quaranta sono i versetti all’interno dei quali viene citato, dalla Genesi all’Apocalisse, e ancora il forte valore simbolico, considerato un frutto erotico nell’antica Grecia, per poi divenire sinonimo di illuminazione spirituale per i buddhisti, senza contare le innumerevoli rappresentazioni letterarie e artistiche, dagli affreschi di epoca pompeiana alla pittura settecentesca.
Stiamo parlando dell’albero di fico, parte del patrimonio arboreo del mediterraneo, che pure oggi fatica a trovare un proprio spazio di affermazione. A sostegno di ciò basta prendere come riferimento la produzione fichicola italiana, che conosce un boom tra la fine della prima guerra mondiale e il secondo dopoguerra per poi subire una drastica riduzione delle superfici coltivate in tempi più moderni, attualmente gli ettari coltivati a fico in tutti Italia sono poco più di 2000, la maggior parte dei quali concentrati nel sud del Paese. La causa di ciò è probabilmente attribuibile all’avvento dei moderni impianti frutticoli, e dunque alla progressiva scomparsa dell’antica pratica di impollinazione incrociata che per anni ha favorito lo sviluppo di un vasto patrimonio varietale, oggi soppiantata dalla produzione monocolturale con piante autofertili.
FICHI SECCHI E COTTO DI FICHI
Dolcissimi e succulenti, con una colorazione che varia dal verde al rossiccio, fino al bluastro violaceo; i fichi sono in realtà delle grosse e carnose infiorescenze, il vero frutto è invece costituito dai piccoli e numerosissimi acheni. In ogni caso possiamo distinguere i fioroni che si formano da gemme dell’autunno precedente e maturano alla fine della primavera o all’inizio dell’estate; e i fichi che si formano da gemme primaverili e maturano alla fine dell’estate dello stesso anno. Per ovvi motivi climatici i fichi presentano una maggiore succosità e dolcezza rispetto ai fioroni, essendo questi ultimi di precoce maturazione.
Essendo un prodotto molto delicato, e dunque facilmente deperibile, altro motivo per cui fatica a trovare uno spazio proprio nel mercato, i fichi sono stati da sempre consumati freschi nelle zone di produzione. La destagionalizzazione del prodotto è stata poi operata grazie all’antichissimo processo di essiccamento del fico, il risultato era un dolce povero della cucina contadina, il fico secco: i frutti venivano esposti al sole su assi di legno per almeno cinque giorni, ritirandoli al tramonto, e rigirandoli frequentemente, fino a quando diventavano rugosi e asciutti al tatto. Disidratati, di colore bruno, teneri, molto dolci e pastosi, venivano poi guarniti con delle mandorle tostate.
Altro pregevole prodotto ottenuto da questo frutto, figlio anch’esso della sapienza e della tradizione contadina, è senz’altro il cotto di fichi del materano, liquido vischioso e molto denso dal colore marrone scuro tendente al nero, ottenuto con soli fichi senza aggiunta di conservanti, addensanti, coloranti e zucchero. Oggi fa parte dell’Arca del Gusto Slow Food. Usato storicamente come dolcificante nella preparazione di focacce e biscotti, condimento di tipici dolci natalizi e pasquali, “cartellate” e i “purciduzzi”, nonché come accompagnamento ai peperoni cruschi o a formaggi sia freschi che stagionati, veniva preparato intorno alla seconda metà di agosto quando i fichi sono ben maturi e dolci. Questi dopo essere stati bolliti in acqua per diverse ore a fiamma bassissima, una volta ridottisi in poltiglia venivano spostati in una sacca a maglie strette. Si appendeva, dunque, tale sacca ad una trave ponendovi sotto un contenitore al fine di raccogliere il liquido che ne fuoriusciva. Il succo ottenuto veniva ridotto ancora una volta tramite una cottura lenta e mescolato continuamente con un cucchiaio di legno. La densità finale risultava essere simile a quella del miele. Così pronto lo si conservava in bottiglie di vetro anche per anni. Il prodotto invecchiato era usato anche per la cura di stomatiti e infiammazioni del cavo orale.
Un ingrediente unico e assolutamente naturale, dalla forte identità e connotazione territoriale, basti pensare che ogni campagna ha tradizionalmente, da sempre, almeno un albero di fico. «Salvare questo prodotto dalla scomparsa vuol dire agire in modo concreto contro un aspetto del degrado ambientale, dovuto all’abbandono e alla mancata cura dell’albero del fico. Si ritiene anche che il cotto di fichi possa rappresentare un’opportunità economica nell’ambito della ristorazione».